Per far cadere una dittatura serve tanto sangue e tanta violenza. La dittatura in questione era quella dei picchiaduro arcade e tra la fine degli anni ’80 e l’inizio degli anni ’90 quelli di qualità uscivano quasi sempre dal ventre di mamma Capcom.
Ne sfornavano così tanti che alla lunga iniziavamo a riconoscere in essi tutta una serie di elementi comuni che venivano addirittura riutilizzati da un gioco all’altro. Oggetti, effetti sonori, alle volte persino personaggi, fino ad arrivare all’iconico uomo in fiamme che si sbatteva a terra completamente rivestito di fuoco, poveraccio… Fu tutto inutile, nonostante questo solido background Midway Games nel 1992 se ne uscì con un beat’em up che ha prepotentemente affondato il suo piedone nella storia dei picchiaduro, lasciando un’impronta bella grossa e grondante sangue, facendo così vacillare una leadership durata anni.
Nelle sale giochi comparve Mortal Kombat. Non fu solo la digitalizzazione di veri attori a rendere unico questo gioco, pratica che tra l’altro era già stata usata in passato ma che solo allora si presentava finalmente in una forma dignitosa (forse qualcun’altro oltre me non è ancora riuscito a dimenticare l’agghiacciante “Pit Fighter”). Fu anche una violenza mai vista prima composta da ingenti fiotti di sangue e di Fatality, mosse conclusive con cui si riduceva – nei modi più disparati – l’avversario ad un mucchietto di ossa sanguinanti.
Fu anche la fluidità e velocità con cui avvenivano gli scontri, fu la possibilità di accanirsi sul tasto del pugno e poter riempire il volto dell’avversario di colpi ad oltranza, fino a che questo non si ricordava che non stava giocando a Street Fighter e per parare un attacco avrebbe dovuto usare un tasto apposito probabilmente per la prima volta nella sua vita e che fino a che avrebbe continuato a mandare indietro la leva di movimento, avrebbe continuato a sputare sangue, fino a morire.
Furono anche dei sonori uppercut che davano una soddisfazione indescrivibile. Furono le resse di persone intorno ai cabinati nelle sale giochi ad ammirare i giocatori più eruditi, speranzosi di vedere finalmente una nuova Fatality che non erano mai riusciti ad eseguire. Oggi contiamo ben 10 capitoli, quasi tutti di qualità, 8 spin-off per i quali purtroppo non si può dire lo stesso, due film, il primo un successo al botteghino, il secondo un disastro totale, una serie TV e una web, una di animazione e persino un fumetto della Malibu Comics a mio parere illustrato alla grande.
Insomma, si può dire che mentre la gente moriva e veniva trucidata nel Mortal Kombat combattendo per le sorti del mondo, lo stesso Brand dava anche tanto da campare a chi lavorava dietro questo ormai mitico nome.
A cura di: Norrin Radd